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Curare vuol dire prendersi cura

  • Immagine del redattore: Natalie Peters
    Natalie Peters
  • 4 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 20 ore fa

Incontro dei curatori della scena musicale indipendente

Un'iniziativa di Bruit e Carovana091


Cosa succede quando nove curatrici e curatori della scena musicale indipendente si siedono attorno a un tavolo? Quando nascono conversazioni – sull’arte, il lavoro, la politica. Sulle piccole cose, che a volte sono più grandi delle grandi?


Si incontrano persone che sanno che la vicinanza, la cordialità e l’intimità possono dare a un evento più forza e carica esplosiva dei numeri da capogiro del pubblico. Soprattutto quando tutto questo si accompagna alla continuità – e a un’attitudine interiore che non si orienta sui numeri, ma sulla ricchezza artistica e umana della scena. E sulle specificità dei diversi territori della Svizzera.


Uno scambio fatto di cura. Di postura. E della radicalità silenziosa di concerti in formato miniatura. Un incontro che ispira, smuove – e da cui nascono nuove idee.


La parola “curare” viene dal latino curare. Significa: prendersi cura, coltivare. Ma anche: trattare. Guarire.


Io curo a Locarno. Jonas Kocher a Bienne. A volte ci telefoniamo. E diciamo cose come: «Sto scrivendo una richiesta per…» «Per me è importante che…» «Qui stiamo portando avanti qualcosa di interessante…» oppure: «Questa volta non va.» «È un po’ troppo, adesso.» O anche: «È stato bellissimo.»


Parliamo del nostro lavoro. A volte, semplicemente così. E poi, scrivere la domanda di finanziamento diventa un po’ più facile. A volte, scrivo subito un nuovo concetto. Mi sono venute nuove idee. Per questo mi piace parlare con Jonas.


L’altro giorno ha detto: «Perché non parliamo anche con altri curatori e curatrici?» Ed è così che ora, in un lunedì a mezzogiorno, ci ritroviamo in nove attorno a un tavolo a Bienne. Fa caldo. Molto caldo. Beviamo caffè.


I curatori e le curatrici nella scena indipendente sono di solito musiciste e musicisti. E poiché non guadagnano di più come curatori che come musicisti, fanno spesso anche un altro lavoro per vivere. E poiché sanno che bisogna agire, molti sono anche attivi politicamente su base volontaria. Chi ha una famiglia, poi, è anche autista, colf, insegnante di ripetizioni. Iperattivi da primato.


Eppure – o proprio per questo – non dimenticano che tra ogni suono e ogni gesto siede il grande silenzio. Quello che fa vibrare tutto.


Per questo sanno ascoltare bene. Anzi: benissimo. E quando parlano, hanno qualcosa da dire. Di grande valore.


Adesso faccio quasi fatica a scriverne. La testa è piena. Il cuore anche. Pieno di impressioni, di ammirazione per la creatività, l’amore e la curacon cui tutti danno forma ai loro eventi.


E io – con le mie radici tedesche – penso: È impressionante come in Svizzera si lavori con calma. Con continuità. Con qualità. Come si parli di risorse, di condivisione, di dono. Come gli eventi vengano pensati e realizzati con profondità umana e poesia.


In treno continuo a riflettere. Su cosa significhi veramente comunicare: incontrarsi. Far fiorire le cose. Sul perché questa musica è sempre anche politica. Sovversiva. Sul perché i concerti in formato miniaturasono una forma di rivoluzione…


… e perdo la fermata a Olten. E vado fino a Zurigo. E lascio che questa sensazione agisca in me: che è possibile stare con persone che pensano e parlano di queste cose – e le mettono in pratica, a modo loro.


E così mi perdo anche la coincidenza ad Arth-Goldau per l’IC. E proseguo con il treno panoramico.


Due ore di conversazione intensa, sotto un sole estivo implacabile. Una dose enorme. La testa e il cuore sono colmi. Arrivo a Locarno con due ore e mezza di ritardo. E sì: ho già scritto un nuovo progetto.


Erano presenti: Cyril Bondi, Mira Hirtel, Sara Käser, Christian Kobi, Jonas Kocher, Antoine Läng,Christian Müller, Natalie Peters, Marina Tantanozi


Testo di: Natalie Peters

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